JJ AESCHLIMANN
Consigliere Comunale Città di Lugano
Vice-capogruppo
Membro della Commissione dell'edilizia
Allocuzione ufficiale all'occasione della Festa Nazionale del primo agosto per il comune di Val Mara (Melano).
Signor sindaco,
Signora presidente del Consiglio comunale,
Signore municipali, signori municipali,
Consigliere e consiglieri comunali,
Cittadine e cittadini del Comune di Val Mara
Amiche e amici della Svizzera,
la chiamata del vostro Municipio, quando mi ha invitato a tenere questo discorso, è stata una grande sorpresa per me – e una grande emozione.
Nella vita di una persona adulta, arrivati a un certo punto, finiamo per convincerci che i momenti di batticuore siano ormai tutti alle nostre spalle.
Nel mio caso, a questa prima illusione se ne aggiunge una seconda – l’idea che l’esperienza di sportivo mi abbia reso del tutto padrone delle nostre emozioni.
Vi confesso che ho pensato spesso che la mia lista dei momenti di batticuore fosse completa, come un album di figurine. La mia prima partita di hockey in serie A, la prima gara-7 in una serie ai playoff, il primo titolo nazionale, la prima convocazione nella Nazionale svizzera, la partecipazione ai Giochi Olimpici… e naturalmente le gioie private, come quella di diventare padre. Ho avuto questo privilegio ben tre volte!
Ma mi sbagliavo, perché la mia lista non era affatto completa. Oggi sono un politico, e per di più un giovane politico – soltanto un consigliere comunale. Eppure, eccomi qui davanti a voi, a tenere un’orazione ufficiale del Primo Agosto – l’onore più grande che ci sia, in Svizzera.
Spero perciò di essere all’altezza di questo onore, e vi ruberò solo pochi minuti per parlarvi della Svizzera, del senso di essere svizzeri nel mondo di oggi – e di cosa significa per me essere un piccolo pezzo delle istituzioni di questo Paese.
Lo spunto per invitare proprio me come relatore, stasera, è il fatto che fra poco il Comune consegnerà i suoi riconoscimenti al merito – per lo sport e per la cultura. Due campi che sembrano distanti, ma che non per forza lo sono.
Ogni sportivo, come ogni artista, ha scelto la propria disciplina come strumento per esprimere qualcosa di sé – anzi: per dare il meglio di sé. È cosa è questa, se non una forma di cultura?
Le persone che il Municipio sta per premiare hanno tutte dovuto riflettere, prepararsi, esercitarsi, sbagliare e riprovare, fino ad arrivare ai risultati che sognavano. Nello sport come nell’arte, questa è l’unica via che porta all’eccellenza.
I successi di questi vostri compaesani portano con sé insegnamenti utili per la vita di ognuna e ognuno di noi – lezioni sulla perseveranza, sulla creatività, sulla collaborazione. Tutte virtù che in Svizzera, nel nostro Paese libero e democratico, trovano le condizioni ideali per esprimersi.
Eccoci così arrivati ai valori: quelli di cui si parla, inevitabilmente, in qualunque discorso ufficiale del Primo Agosto.
Se negli ultimi 150 anni lo sport è diventato il più grande spettacolo al mondo, è perché le persone di ogni parte del mondo ci vedono qualcosa che parla della loro vita. Qualcosa della vita che sognano. Qualcosa dei valori che dovrebbero ispirare loro e le loro comunità per farle progredire.
Le prime cose che ogni sportivo impara riguardano il modo giusto di «stare in campo» – e quindi anche il modo giusto di «stare al mondo». Una di queste cose, forse la più importante, è che bisogna sempre tenere conto dell’imprevedibile.
Possiamo chiamarlo caso, sfortuna, errore, abbaglio… Un elemento di incertezza in campo ci sarà sempre, e dobbiamo imparare ad accettarlo. L’unica cosa che possiamo fare è prepararci al meglio delle nostre capacità. A volte poi perderemo comunque, anche se sentiamo di avere dato tutto: è durissimo da accettare, ma così è lo sport – così è la vita.
È una lezione preziosa per una società come la nostra, così ossessionata dal controllo. Ogni tanto ci illudiamo quasi di avere cancellato il caso dalle nostre vite. La natura però rimane la natura, perfino nella ricca e organizzata Svizzera. Lo abbiamo visto purtroppo alla fine di giugno a pochi chilometri da qui, fra Mesolcina, Vallese e Vallemaggia – e ci siamo dovuti ricordare che non avremo mai il potere di controllare tutto. Possiamo solo rimanere vigili. Possiamo solo tenerci ben allenati.
Questo è solo un piccolo esempio di come i valori dello sport si collegano con quelli democratici. Stasera però voglio essere più preciso, e condividere con voi tre insegnamenti che io, personalmente, ho raccolto dalla mia carriera di sportivo – e che oggi come consigliere comunale, e prima ancora come cittadino, mi aiutano a fare la mia piccola parte nel nostro federalismo.
Il primo insegnamento che lo sport mi ha dato è che l’avversario è sempre e solo un avversario – non un nemico.
In campo non c’è niente di più importante della distinzione fra essere avversari ed essere nemici. È quello che distingue lo sport moderno dai combattimenti dei gladiatori. È quello che permette di affrontarsi seguendo le regole, cercando di superarsi a vicenda, allo scopo di prevalere e non di sopraffare l’altro. È la base per quello che chiamiamo fair play, o con una parola più antica – senso dell’onore.
Per capire cosa c’entri questo con la Svizzera, basta che ci guardiamo attorno – basta guardare cosa succede in Francia, negli Stati Uniti in Italia. Sempre più spesso, l’avversario politico è un nemico con il quale non si discute più – e là dove il dialogo manca, prima o poi si arriva a ricorrere a mezzi diversi, quasi sempre molto meno nobili delle parole.
La struttura della democrazia svizzera, finora, ha impedito che questo accadesse anche a noi. Il fatto che andiamo a votare anche dieci volte all’anno impedisce che i fronti diventino troppo rigidi. Se smetto di parlare con chi ha votato diversamente da me su un tema federale, o cantonale – o sulla nuova casa per anziani a Melano – presto o tardi finirò per parlarmi da solo, allo specchio, nella mia stanza.
La lezione è chiara. In questo piccolo Paese nessuno può permettersi di rompere i ponti con qualcuno – il nostro sistema politico rende molto, troppo costosa per chiunque la scelta di rompere i ponti. Lavorare insieme, assumendosi le proprie responsabilità, è l’unica via.
A proposito di votazioni popolari... Se consideriamo i tre livelli – federale, cantonale, e comunale – credo che nessuno fra voi possa dire di avere sempre e soltanto vinto, in ogni votazione della sua vita.
È questa la seconda lezione che ho imparato dallo sport, ed è uguale al titolo di una vecchia canzone – Bisogna saper perdere.
Perdere una votazione non è mai la fine del mondo in Svizzera, così come perdere una partita o una gara non è mai una tragedia. Il nostro sistema democratico è robusto perché sa adattarsi di continuo alle sfide della realtà – e perché un voto che sembra una sconfitta (a noi, o al nostro partito) in realtà non significa mai la fine della Svizzera.
Se lo sport è una «palestra di vita», è perché perfino i più grandi campioni ogni tanto perdono. Impariamo perciò anche noi a incassare le sconfitte democratiche – e impariamo a superare la delusione, quando la maggioranza non la pensa come noi.
L’ultima lezione si collega al futuro della nostra democrazia diretta. Come vi potrà dire chiunque abbia avuto successo nello sport, come le persone che saranno premiate oggi dal Comune, prendersela con l’arbitro non è mai una buona idea.
A livello cantonale, ma anche nei Comuni, negli ultimi anni ci sono stati molti ricorsi contro gli opuscoli ufficiali di voto. Anche in vista dei prossimi accordi con l’Unione europea, le sezioni federali dei partiti si scontrano sul fatto che le votazioni debbano (o non debbano) avere la doppia maggioranza, di popolo e Cantoni.
Questi comportamenti non sono un segnale positivo – come nello sport non è mai un buon segno quando un atleta o una squadra protestano di continuo per l’arbitraggio. Chi perde la concentrazione – chi perde di vista la sua prestazione – non può mai dare il meglio. Chi si lamenta, nello sport come nella vita e in politica, non ha speranza di risultare vincente. Chi arriva a mettere in dubbio la regolarità del gioco, ne danneggia in modo irreparabile la credibilità.
Per di più, il pubblico si annoia in fretta delle partite in cui le squadre passano il tempo a protestare contro l’arbitro – e il pubblico in democrazia è la cittadinanza, che in questi anni partecipa sempre meno alle elezioni e alle votazioni. Con ogni nostro comportamento, cerchiamo di non essere una ragione in più per fare calare l’interesse verso la politica.
L’avversario non è un nemico – Bisogna saper perdere – Prendersela con l’arbitro non è una buona idea.
Queste sono tre delle tante lezioni che ho imparato nella mia carriera di sportivo – e sono tutte lezioni che porto sempre con me, come politico e come persona.
Ciò che più conta, oggi che è la nostra Festa nazionale, è che sono anche lezioni scritte dentro il DNA della Svizzera e della sua democrazia diretta. Sono insegnamenti che mettiamo in pratica ogni giorno con i nostri comportamenti di cittadine e cittadini, e sono ciò che rendono speciale questo nostro piccolo Paese alpino – non speciale perché migliore o peggiore, ma perché sicuramente diverso da ogni altro Paese al mondo.
Il nostro compito è mantenerci diversi, preservando le nostre virtù e correggendo i nostri difetti – solo così potremo consegnare alle svizzere e agli svizzeri di domani un Paese in condizioni ancora migliori di quello che abbiamo ricevuto dai nostri antenati.
Quello che vogliamo lasciare in eredità è un Paese che – e uso qui le ultime due parole prese a prestito dallo sport – sia capace di «formare e performare». Un Paese che permetta a tutte le persone che lo abitano di trovare la loro strada nella vita, e di esprimere liberamente il meglio che hanno da dare a se stesse, alla loro famiglia, alla loro comunità e a tutta la Nazione.
Questa libertà, che è stata data a noi, deve rimanere il più grande regalo per il quale anche le svizzere e gli svizzeri del futuro sentano nel cuore la voglia di celebrare la loro Festa nazionale.
Vi ringrazio di cuore per la vostra attenzione. Il vostro invito mi ha sorpreso e mi ha onorato. È un grande piacere essere qui con voi oggi a festeggiare questo Primo Agosto.
Buona festa! E viva la Svizzera!
Melano, 1.8.2024
Discorso al Congresso cantonale del 15 gennaio 2023 al Palazzo dei Congressi di Lugano
Onorevole signor Consigliere Federale,
Werter Herr Ständerat und Parteipräsident,
Care amiche e cari amici liberali,
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Audentes fortuna iuvat. La fortuna aiuta gli audaci. È un motto che amo molto – tra l’altro, ripeterlo nella sua versione originale mi permette sempre di vantarmi un po’ del fatto che ho studiato il latino.
Eh sì. Prima dello sport ero lanciato in una carriera di studio che avrebbe potuto portarmi in una direzione molto diversa. Come sarebbe accaduto altre volte nella mia vita, però, ho scelto la strada più rischiosa. Non è stato facile farlo capire in famiglia, ma ringrazio ancora oggi i miei genitori per avermi sostenuto nella decisione di puntare tutto sul gioco dell’hockey, lasciando da parte gli studi liceali.
Ogni tanto penso a quel momento di svolta personale, e al fatto che non rimpiango mai di avere ascoltato la voce interiore che mi invitava a rischiare. L’ho scritto nel mio biglietto di auguri per le feste, e cerco di ripetermelo ogni giorno. Il segreto della felicità è la libertà e il segreto della libertà è il coraggio.
La verità però è che il Ticino resta pur sempre la terra del «vola bass e schiva i sass». Siamo pur sempre un Cantone di gente alpina che nel DNA ha i ritmi immutabili della natura. Gente che non ha davanti agli occhi oceani da esplorare, ma un giardino di cui prendersi cura secondo il ritmo delle stagioni. La prima risposta del buon ticinese, per natura, è che non conviene cambiare le cose, perché «a s’è sempar fai inscì».
Forse sono solo luoghi comuni, certo, ma come tutti i luoghi comuni non sono mai completamente… fuori luogo. Una politica che voglia il bene del Ticino, a lungo termine, deve avere il coraggio di mettere in discussione questa identità. Dobbiamo trovare dentro di noi e ritrovare il coraggio di rischiare, per costruire la prosperità del futuro.
La nostra diffidenza naturale verso il nuovo non può trasformarsi in immobilismo, o in ostilità per tutto ciò che sa di cambiamento – che si tratti di videogiochi, criptovalute, nuove tecnologie per l’agricoltura e la produzione di energia, o anche solo di quali lingue insegnare ai nostri figli a scuola, e quando iniziare a farlo.
Io sono forse uno degli ultimi arrivati in questo gioco, e non faccio mistero né delle mie forze né delle mie debolezze – quello che forse ho in più è la fame di chi ha tutto da dimostrare. D’altra parte, non mi sento in svantaggio rispetto a nessuno. Come dicono nel sud Italia, «nessuno nasce imparato». La nostra vita personale è un lungo apprendistato, e la nostra vita come politici lo è ancora di più. Nessuno può seriamente pensare di conoscere davvero tutti i temi di cui si occupa nel XXI secolo uno Stato, specialmente in un contesto complesso come quello della nostra Svizzera.
La forza della democrazia diretta è proprio nel suo «dilettantismo illuminato». È un’intelligenza collettiva alla quale partecipano tutte le persone di buona volontà, che dopo avere realizzato qualcosa nella vita vogliono restituire alla collettività una parte della loro esperienza – e soprattutto vogliono ascoltare chi ha qualcosa da chiedere o proporre. Per questo sono qui stasera fra voi e per questo farò campagna nei prossimi mesi.
Capacità di rischiare significa prendere le decisioni coraggiose che sono necessarie a garantire il nostro benessere anche in futuro. Il problema è che negli ultimi settant’anni il nostro Paese si è abituato a uno standard di vita che per miliardi di persone nel mondo è pura fantascienza.
Ma questo standard di vita non è lo stato di natura – e lasciatemi dire, così di passaggio che il lupo ci suscita in noi emozioni così forti anche perché ci ricorda proprio questo. Che il mondo è un posto pericolosissimo per gli esseri umani – e che quando non è pericoloso è solo per merito del nostro lavoro.
Il nostro benessere non sarà mai conquistato per sempre, e non dovremmo mai considerarlo scontato. Bisognerà sempre continuare a spendere e a investire risorse – come sa bene ogni imprenditore di successo. Il coraggio di rischiare ci serve per evitare di perdere ciò che i ticinesi di ieri hanno conquistato, e che noi ticinesi di oggi abbiamo il dovere di consegnare ai ticinesi di domani.
Coraggio di rischiare significa per prima cosa imparare, o reimparare, a «volaa alt». Abbiamo il dovere di ripensare ciò che deve essere ripensato – dalla scuola che è ancora quella dell’Ottocento fino alla nostra politica economica. I temi non mancano.
Ci serve il coraggio di rischiare per assicurarci energia in abbondanza, sempre più pulita, per continuare a crescere – e per rimediare ai danni ambientali del passato
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Ci serve il coraggio di rischiare per prenderci cura della salute mentale, specialmente quella di chi ha sofferto di più durante la pandemia – i giovani, che non meritano di essere ricordati dalla politica solo quando si parla di repressione
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Ci serve il coraggio di rischiare per continuare a tenere vitale la nostra economia, per farle creare i posti di lavoro che sono l’ossigeno di un paese – perché ogni tanto bisogna tendere la mano a chi crea quella ricchezza che molti invece pensano solo a spendere
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Ci serve il coraggio di rischiare per portare la nostra formazione nel XXI secolo – tenendo sempre a mente che la scuola è l’investimento numero uno per ottenere vero progresso nella socialità, nella sicurezza pubblica e nell’economia
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Ci serve il coraggio di rischiare per rendere il Ticino un luogo accogliente in cui venire ad abitare e in cui nascere
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Ci serve il coraggio di rischiare, infine, per affrontare le discussioni scomode. Gli argomenti dei quali facciamo molta fatica a parlare. Questioni urgentissime, davanti alle quali la politica spesso sembra in imbarazzo. Penso al dilagare dello stile di vita sedentario e dell’obesità. Penso alla ripartizione delle risorse e della spesa pubblica fra giovani e anziani, a vantaggio di questi ultimi. Penso al nostro rapporto malsano con la morte – un tema apparentemente molto astratto, che però in questi anni ha prodotto in scelte politiche molto pesanti per la vita di molte persone.
Non credo che votarmi sia di per sé un rischio. Sono stato fin qui forse un outsider della politica, ma non sono il candidato monotematico che forse qualcuno si aspettava. Lavoro in un’azienda del settore culturale che ha un fatturato da svariati milioni di franchi e ha subito pesantemente gli effetti delle politiche pandemiche. Ho rapporti di lavoro con ogni parte della Svizzera, conosco bene le lingue nazionali e la mentalità elvetica – quella delle zone urbane e quella delle campagne profonde. Dallo sport ho imparato che il lavoro su se stessi paga. L’impegno paga, l’allenamento paga, la ricerca paga. Ho imparato che vivere bene significa «dare il meglio di sé».
Come tutti voi, sono un essere umano completo, e un cittadino che vuole prendersi cura del bene comune. Per questo mi sono messo in lista, e perché credo di potervi portare un messaggio diverso da quelli che vi sentite ripetere di solito. È un messaggio che ho voluto riassumere nell’idea del rischio – inteso come la capacità di assumerci fino in fondo la responsabilità delle azioni necessarie al nostro prosperare, come individui e come società.
Spero che vorrete accompagnarmi in questa avventura.
Intervento al Comitato cantonale a Massagno il 12.11.22 “Presentazione comitato cantonale”
Care amiche, cari amici liberali radicali,
Sono onorato e felice, anche se con un po’ di ansia, di essere oggi davanti a voi per presentarmi come candidato al Consiglio di Stato.
La mia non è la classica candidatura e forse è anche sorprendete, ma credetemi, la prima persona sorpresa quando ho ricevuto la chiamata del nostro presidente ero io stesso. La conversazione telefonica ha stuzzicato in me lo spirito sportivo di sfida e dopo attenta valutazione della mia situazione personale e lavorativa ho accettato di mettermi a disposizione del partito per questa impegnativa avventura.
Chi sono
Mi chiamo Jean-Jacques Aeschlimann, sono nato 55 anni fa di genitori bilingui in un piccolo villaggio poco distante della città di Bienne dove ho percorso tutte le tappe della mia formazione scolastica obbligatoria e post-obbligatoria finendo con un diploma di impiegato di commercio per, cito mio padre “aver qualcosa in mano” dopo aver frequentato il liceo di Bienne seguendo il percorso linguistico con insegnamento dell’inglese e del latino.
Parallelamente seguivo però un grande sogno che ben presto si è avverato e a 18 anni ho firmato il primo contratto da giocatore professionista di hockey su ghiaccio con la squadra della mia città natale dove ho giocato 7 stagioni prima di traslocare più di 31 anni fa in Ticino a Lugano dove mi sono da subito sentito a casa.
Dopo una carriera hockeistica di 23 anni ed una formazione manageriale nello sport durante le ultime stagioni agonistiche, sono entrato a far parte del mondo del management sportivo nel quale svolgo ormai da più di 15 anni vari ed interessanti compiti legati ad un’azienda sportiva.
Sono sposato e papà di tre figli Mélanie (29 anni), Marc (27 anni) e l’ultima arrivata Jacqueline, una meraviglia che proprio oggi compie 7 mesi di vita e che cresco insieme alla mia seconda moglie Viktorija. Viviamo attualmente a Lugano, più precisamente a Cassarate, insieme ai due primi figli di 15 e 19 anni di Viktorija.
La gente mi riconosce uno stile aperto, diretto, autentico e credibile centrato su valori solidi. Tutti aspetti con i quali voglio contribuire al successo di questa squadra.
Perché ho detto di sì alla commissione cerca?
Innanzitutto, è per me un immenso onore mettermi a disposizione del PLR e sono convinto che potrò dare un mio contributo durante questa campagna per raggiungere gli obiettivi del nostro partito.
Vorrei inoltre, ed è forse l’aspetto principale, mettere a disposizione del partito, della collega Alessandra e dei colleghi Christian, Luca e Andrea lo spirito di squadra che mi ha sempre caratterizzato.
In merito all’aspetto di squadra uso spesso e volentieri l’immagine di un puzzle. Diversi pezzi unici e diversi uno dell’altro, con forme, contenuti e sfaccettature diverse che però messi insieme costituiscono un’immagine unica, compatta e coesa. Così vedo la nostra squadra: idee e personalità diverse, provenienti da ambienti diversi, capaci di toccare le sensibilità di tutte le ticinesi e tutti i ticinesi, rispettando i valori propri del nostro partito.
Inoltre, durante questi ultimi anni ho sviluppato una passione per la politica che vorrei poter trasmettere a chi negli anni ha perso la fiducia, costruendo ponti al posto di dividere le persone grazie alle mie capacità di comunicazione e di ascolto.
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Prima di parlare dei temi che mi stano a cuore e che ruotano attorno alla mia esperienza e all’attività sportiva,
vi propongo un’affermazione di Nelson Mandela: “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di ricongiungere le persone come poche altre cose. Ha il potere di risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione.”
Sono cosciente che l’affermazione è molto forte, ma stiamo vivendo un periodo difficile che supereremo concentrandoci sul presente, ma anche pianificando il futuro e parto dalla mia convinzione che l’attività sportiva in tutte le sue sfaccettature può fungere da filo conduttore per le soluzioni politiche di oggi e domani.
Vi elenco i temi
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Formazione dei giovani: ovvero lo sport come scuola di vita, imparare a lavorare in gruppo, imparare a fissare e raggiungere gli obiettivi, imparare a perdere e rialzarsi subito, imparare a fare sacrifici utili alla causa, imparare a gestire le emozioni, imparare disciplina e costanza ed infine imparare rispetto, lealtà e correttezza. Lo sport rappresenta la terza agenzia educativa dopo la famiglia e la scuola.
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Salute: l’attività sportiva vuol dire prevenzione, sia di infortuni che malattie per i giovani e per gli anziani. Un sistema immunitario solido è tuttora l’arma di prevenzione migliore che abbiamo. L’attività sportiva ha un aspetto positivo anche per la salute mentale delle persone. “Mens sana in corpore sano” insomma.
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​Sociale: l’attività sportiva di gruppo vuol dire coesione sociale, appartenenza ed integrazione. I molti volontari nelle società sportive sono un segnale importante dell’importanza di appartenere ad un movimento a e non va dimenticato, anzi ringraziato sempre.
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​Economia: lo sport come attività economica: vuol dire infrastrutture sufficienti e moderne, vuol dire posti di lavoro e vuol dire eventi e turismo sportivo.
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Sicurezza: lo sport come evento sicuro dove lo spettatore può sfogarsi e dimenticare un attimo le sue preoccupazioni, l’attività sportiva come valvola di sfogo per evitare disordini nelle strade ed infine l’industria dello sport che significa posti di lavoro.
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La digitalizzazione: lo sport moderno e le sue infrastrutture sono sempre più digitali, statistiche, engagement dei tifosi e simpatizzanti, processi amministrativi veloci, strumenti di valutazione delle risorse
Quindi per concludere la mia presentazione: se lo vorrete vi potrò garantire impegno, concretezza e serietà, ma in ogni caso avanti PLR con entusiasmo, coraggio, innovazione e creatività.
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